Elogio

Eccole, compagne instancabili, che per tanti anni hanno assolto il loro compito, l’una tenendo fermo il foglio, l’altra moltiplicando sulla pagina bianca quei piccoli segni scuri, fitti, persistenti. Grazie ad esse l’uomo prende contatto con la dura consistenza del pensiero, arriva a forzarne il blocco. Sono le mani a imporre una forma, un contorno, e, nella scrittura, uno stile.

Le si potrebbe dire animate. Servitrici? Può darsi. Ma dotate di una natura energica e libera, di una fisionomia – volti senza occhi e senza voce, ma vedenti e parlanti. Ci sono ciechi che con l’andar del tempo acquistano una tale finezza di tatto per cui sono capaci di distinguere, sfiorandole, le figure di un mazzo di carte, che riconoscono attraverso lo spessore infinitesimo dell’immagine stampata. Anche i vedenti, però, hanno bisogno delle mani per vedere, per completare attraverso il tatto e la presa la percezione delle apparenze. Le attitudini proprie delle mani sono scritte nella loro linea e nel loro disegno: vi sono mani destinate per scioltezza all’analisi, vi sono le dita lunghe e agili del raisonneur, vi sono mani profetiche cariche di fluidi, mani spirituali cui l’inerzia stessa conferisce grazia e levità, mani fatte per la tenerezza. La fisiognomica, a suo tempo assiduamente praticata dagli artisti, si sarebbe avvantaggiata arricchendosi di un capitolo sulle mani. Il volto umano è soprattutto un intarsio di organi di ricezione. 

La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. In stato di quiete, non è un utensile senz’anima, un utensile abbandonato sul tavolo o lasciato ricadere lungo il corpo: in essa permangono, in fase di riflessione, l’istinto e la volontà di azione, e non occorre soffermarsi a lungo per intuire il gesto che si appresta a compiere.

Henri Focillon_Elogio della mano

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