Solo sul filo

Là in alto, mentre prende confidenza col suo nuovo territorio, il funambolo si sente solo. Se ne vedrà a lungo la sagoma immobile. Aggrappato con le mani alla passerella davanti a questo cavo orizzontale sul quale non osa posare il piede, si crederebbe che egli beva pigramente il sole al tramonto.

Non è così. Egli sta prendendo tempo.

Misura lo spazio, palpa il vuoto, soppesa le distanze, controlla lo stato degli attrezzi, li predispone. Assapora fremendo quella solitudine: sa che, se ce la fa, sarà funambolo.

Vuole allineare alla verticale dei suoi pensieri i suoi dubbi e i suoi timori per issare fino a sé il coraggio che gli resta.

Ma tutto ciò richiede troppo tempo.

Il cavo guadagna terreno, il cielo diventa cupo, ora un centinaio di metri lo separano dalla piattaforma di fronte. Il suolo non è più allo stesso livello, è ancora più basso. Dei gridi giungono dai boschi. La fine del giorno è prossima.

Al culmine della disperazione il funambolo impugna il bilanciere e, sul punto di desistere, passo dopo passo, passa.

E’ il suo primo successo.

Resta là per comprenderlo, con gli occhi posati su quella piattaforma tutta nuova, mentre l’oscurità corre raso terra. Condivide con le cime degli alberi la luce che s’attarda più leggera dell’aria.

Solo sul filo, si circonda di un’allegria aspra e selvaggia, compiendo traversate spensierate e prive di ordine nell’umidità della sera. Appende il bilanciere alla passerella prima di prender posto in cima al palo in seno a un frammento di spazio nero e ghiacciato, per accogliere senza angoscia la notte che viene.

Trattato di funambolismo_Philippe Petit

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